Curiosità

conca_casale_oggi.jpg_729600497L’architetto molisano Franco Valente, esperto in storia dell’architettura, dell’arte e dell’urbanistica ed autore di numerosi volumi dedicati al territorio venafrano, ha scritto su Conca Casale:

«A Concasale “la signora” non è una bella donna, ma uno degli insaccati più deliziosi della regione. Acquistarlo non è facile, eppure potrebbe diventare uno dei punti forti, insieme alle lenticchie più buone della provincia, per l’avvio di quel progetto di valorizzazione dei centri montani di questa parte del Molise. A Concacasale oggi si arriva salendo da Venafro con una comoda carrozzabile realizzata negli anni Sessanta. Prima l’unico modo per giungervi era quello di salire per la mulattiera che dalla Cattedrale di Venafro, inerpicandosi per il Campaglione e insinuandosi tra la fenditura naturale della Montagna Spaccata, superava il passo di S. Domenica da dove si scendeva al paese.

Non so quanto antico sia l’abitato, ma la descrizione dei confini delle terre che Carlomagno concesse all’abbazia di S. Vincenzo nell’VIII secolo, nel riportare i monti di Casale, ci fa ragionevolmente ritenere che un qualche nucleo abitato in quell’epoca vi doveva essere. Una certa importanza l’ebbe alla metà del XII secolo quando fu feudo di Raynaldo de Sexto che “cum fratre et nepote suo tenet de eodem Comite in demanio Casale”.Certamente allora gli abitanti non se la passavano proprio bene. Niente corsi d’acqua e niente strade di comunicazione rendevano la vita difficile. Nel 1645 monsignor Cordella, vescovo di Venafro, stabiliva definitivamente il trasferimento della parrocchia di S. Caterina d’Alessandria dall’antico abitato di Trasarcio, ormai abbandonato, a quello nuovo di Pozzilli. Secondo alcuni Trasarcio deriverebbe il nome dalla circostanza di trovarsi in qualche modo protetto o comunque sottoposto a due o più rocche fortificate: trans arces.

Il primo maggio di qualche anno fa, approfittando della consueta festa della Croce che annualmente in quella data si tiene sul picco che una volta faceva parte della cosiddetta Rocca di Saturno, poi trasformata in un importante convento dedicato a S. Tommaso, ho tentato la scalata sulla cima della montagna di Venafro seguendo l’arido e pietroso versante venafrano. Lo spettacolo naturale è superbo e nello stesso tempo, per chi viene dalla sottostante pianura, insospettabile. Le pareti occidentali della montagna calano a picco infilandosi in gole alte qualche centinaio di metri e costituiscono una formidabile protezione naturale che certamente non fu sottovalutata da coloro che per primi organizzarono un sistema di difesa in questa parte della valle del Volturno. Il punto più alto permette di traguardare da una parte fino alle cime della Maiella, anticipate dalla catena delle Mainarde, e dall’altra fino alle vette più alte del Matese, che si scopre in tutta la sua possente consistenza a fare da barriera al corso del Volturno quando, insinuandosi verso la Campania, va a lambire l’altro blocco montuoso di Cesima che si vede a Sud-Ovest.

All’aspetto secco del versante venafrano di S. Croce, interrotto solo dalle macchie vistose della carnosa orchidea selvatica, corrisponde quello verdeggiante di Concacasale dove domina il corniolo che ha dato il nome ad uno dei suoi casali: Crugnalito.Nella splendida giornata primaverile il silenzio è rotto dal richiamo di un nibbio che volteggia senza sforzo tenuto in aria dalla corrente ascensionale che si forma per il riscaldarsi delle rocce esposte a mezzogiorno. Rocce calcaree erose dal vento e fratturate in maniera da ingannare i più sprovveduti che spesso vedono la mano dell’uomo in quella sistemazione che, invece, è del tutto naturale. In mezzo a questi megaliti mi appare all’improvviso un signore in divisa mimetica.

Mi saluta con un accento nordico. Si chiama Settimio Di Marco ed ha una piccola azienda a Cervaro. Mi dice che ormai conosce questi monti come le sue tasche. Provo a chiedergli se girovagando per quelle montagne abbia trovato traccia di una qualche muratura fatta con grossi blocchi lapidei. Insieme raggiungiamo una parte intricata del bosco dove appare in tutta la sua grandezza un tratto di oltre duecento metri di una cinta megalitica conservata in maniera straordinaria.Un tratto rettilineo sul versante di Concacasale che in alcuni punti supera i tre metri di altezza ed è formato da blocchi di medie e grandi dimensioni perfettamente incastrati alla maniera delle altre cinte sannitiche già note del territorio molisano. Il muro finisce all’improvviso là dove inizia una un costa rocciosa verticale che costituisce la naturale continuazione della difesa nel luogo dove gira verso il versante venafrano.

Seguendo la parete naturale verso Venafro si ritrova un altro bel tratto, di qualche metro, di pietre aggregate alla stessa maniera. Il punto di osservazione è fenomenale. In basso si vede il nucleo medioevale di Venafro con l’ellisse del Verlascio che ripete l’anfiteatro romano. Ora finalmente comincia a delinearsi un quadro più chiaro del sistema difensivo sannitico. Nella sostanza vi sono due ipotesi. La prima è che queste murature siano attribuibili alle prime fasi della complessa penetrazione sannitica nella valle del Volturno, e si pone la loro realizzazione in epoche attestabili intorno al VI-V secolo a. C.. La seconda è che si tratti di elementi di un sistema di difesa approntato dai Sanniti durante le guerre contro Roma, nel III secolo a. C., prima della definitiva distruzione del Sannio. Personalmente, con tutti i necessari dubbi, propendo per la prima ipotesi. Forse qualche saggio archeologico in queste parti del territorio, che non sono state contaminate da sovrapposizioni successive di epoca romana o medioevale, potrebbe fornire qualche contributo a svelare aspetti sconosciuti dei primi Sanniti. Una cosa è certa: quando sono sceso a valle tutti conoscevano quel tratto di muro, ma tutti lo consideravano un testimone muto! Ora per molti, dopo il clamore della notizia, pare che cominci a parlare e pare che abbia molte cose da raccontare! Luciano Bucci, che è sindaco di Concacasale, è il più contento perché si scoprono nuovi motivi per passare qualche giorno nel suo paese. Così, davanti alla chiesa di S. Antonio, che assicura la protezione sull’abitato anche con il suo immenso platano centenario che copre mezza piazza, si pongono le premesse per programmare le consuete manifestazioni culturali e culinarie che caratterizzano piacevolmente le serate estive di chi a Concacasale va a cercare pace e tranquillità».

(fonte: http://www.francovalente.it)